Attenzione popolo digitale, lo screenshot vale come prova documentale in giudizio!

Il mondo del diritto e segnatamente la giurisprudenza e la dottrina sono state messe in una sorta di centrifuga dall’avvento dell’era digitale che ha costretto i secolarizzati ambienti togati a stare al passo spedito del cyberspazio. Freschissimo sviluppo di questa liaison turbolenta è quello derivante dalla pronuncia n°8736/2018 della Corte di Cassazione che conferisce il crisma di prova documentale al tanto caro alleato di noi internauti e socialmediapatici: lo screenshot.

Come è arcinoto ai più, lo screenshot non è altro che un’istantanea digitale di quanto al momento presente sugli schermi dei nostri device, siano essi Pc, portatili, smartphone o tablet. Una funzionalità divenuta consuetudine, stante il suo essere supporto fondamentale per relazionare i nostri contatti su quanto stia accadendo in maniera veloce e puntuale. La V Sezione penale della Suprema Corte si è pertanto trovata a destreggiarsi sul punto all’interno di un giudizio inerente alcuni articoli diffamatori reputati lesivi della reputazione di un personaggio politico. L’autore dei pezzi ad oggetto della controversia si dà il caso fosse anche direttore della testata sulla quale gli stessi hanno trovato spazio e proprio la stampa degli screenshot che raffiguravano tali pezzi sulla specifica piattaforma editoriale fu decisiva ai fini della condanna dell’autore in primo grado per diffamazione. Una pronuncia ribaltata in appello, col Giudice del gravame che decise di annullare la condanna sulla base del mancato riconoscimento del valore di prova documentale agli screenshot in questione, sprovvisti come sono di un sigillo di autenticazione. Ecco che, quindi, della questione è stata investita la Cassazione che ha, di fatto, aderito all’interpretazione fatta dal Giudice di primo grado dell’art. 234 del codice di procedura penale, conferendo piena validità ai fini probatori a tali “scatti digitali”. Nella pronuncia in esame si precisa che “i dati di carattere informatico contenuti in un computer rientrano tra le prove documentali e per l’estrazione di questi dati non occorre alcuna particolare garanzia”. Una statuizione dalla significativa valenza, giacché non subordina alla procedura dell’accertamento tecnico irripetibile la possibilità di acquisire i dati contenuti nello screenshot, per i quali basterà invece una “semplice” operazione meccanica che non ne modifichi il contenuto. La ratio seguita dal Supremo Giudice sottende quindi alla possibilità di acquisire un documento ancorché questo sia sprovvisto di autenticazione o comunque non provenga da pubblico ufficiale. Ogni documento acquisito legittimamente, sottolinea infatti la Cassazione, ha valore probatorio ed è soggetto alla libera valutazione del giudice sebbene privo di certificazione ufficiale di conformità. Un orientamento che risulta inoltre aderente allo spirito stesso del dettato normativo contenuto nell’art. 234 che lascia per l’appunto “aperto” il catalogo dei supporti idonei a riprodurre un documento.

Sviluppo giurisprudenziale tanto specifico quanto papabile di un’applicazione potenzialmente vastissima quello in esame che testimonia la continua “rincorsa” del rimedio ai balzi in avanti della tecnologia. Scripta manent. Niente di più vero.

 Antonio Rico