Sono passati 26 anni dalla strage di Capaci. L’Italia non dimentica i suoi eroi e martiri

Sono le 17:58 del 23 maggio 1992 quando partendo dall’aereoporto di Punta Raisi, percorrendo l’autostrada verso Capaci, la scorta e l’auto del giudice Giovanni Falcone vengono investiti da un’esplosione causata da 1000 kg di tritolo, accuratamente posizionati in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada. Muoiono sul colpo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo, un’ora dopo l’attentato muore anche Falcone, nonostante i disperati tentativi di rianimazione. Sua moglie Franca Morvillo, l’ultima ad arrendersi, spira alle ore 22.00. Si salvano, invece,  gli altri agenti: Capuzza, Corbo, Cervello e Costanza. Il racconto dei primi a sopraggiungere sul posto, tra cui il fotografo Antonio Vassallo è sconcertante: “Ho sentito l’esplosione, verso le 17:58. Sono saltato in sella al motorino e mi sono trovato di fronte una scena mai vista, degna di un film di guerra. Gli ulivi centenari sradicati da terra. Un pezzo di autostrada era semplicemente sparito: al suo posto c’era un cratere”.

Con quel gesto d’infamia viene messa la parola fine alla vita di uno dei più grandi protagonisti della lotta alla mafia. Per anni, con il pool antimafia, assieme con Paolo Borsellino e Antonino Caponetto, sono stati gli alfieri che hanno reso orgoglioso il popolo italiano nella lotta a quel mostro chiamato “Cosa Nostra“. I capi mafia fin da subito identificano in Falcone un pericolo, tentano di scoraggiarlo con gli omicidi dei suoi collaboratori Giuseppe Montana e  Ninni Cassarà”. Ma quell’episodio ha fatto si che aumentasse ancora di più il suo impegno. Il maxi processo, che ha visto alla sbarra 460 imputati, difesi da 200 avvocati, frutto di 6 anni di lavoro ha portato a diverse condanne, tra cui spiccano 19 ergastoli e un totale di 2655 anni di reclusione, un successo enorme per la magistratura, ma al tempo stesso la condanna a morte per Giovanni Falcone.

Ma la sua morte ha dato un lascito a tutti noi, un lascito che non possiamo far perdere con il passare degli anni, ma soprattutto dobbiamo ricordare  alcune delle sue parole, che ci indicano come sconfiggere questo cancro radicato nel nostro paese da anni:  “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”

Domenico Corsetti