25 anni fa moriva Kurt Cobain: un viaggio nella vita della voce dei Nirvana

Kurt Cobain un artista tormentato, un percorso tortuoso dal passato turbolento, fino all’amore incondizionato per la figlia

Era l’8 aprile 1994, in una casa che si affaccia sul Lago Washington a Seattle, un elettricista trovava il corpo della voce dei Nirvana, Kurt Cobain, privo di vita.
Le indagini portarono ad una sola conclusione, il cantante si suicidò con un fucile a pompa. Strano scherzo del destino (o no?!), qualche tempo prima fu protagonista di uno spot pubblicitario che recitava più o meno così: “Avete bisogno di una pelliccia così come di un colpo in testa“.

Ma chi era Kurt Cobain?
Fin da bambino aveva un forte amore per la musica, tra i suoi giochi preferiti c’erano un’armonica a bocca ed un piccolo pianoforte. In età scolare gli fu diagnosticata ADHD (detto in soldoni l’iperattività), per curarlo gli fu somministrato un farmaco (volutamente non citato), che già all’epoca alcuni medici avevano intuito che potesse essere una causa della tossicodipendenza da adulti, e così fu.

Ma la vita dell’artista non era rose e fiori, soffrì tremendamente quando i suoi genitori divorziarono, odiava i suoi genitori e come sfogo usò le pareti della sua camera scrivendo frasi di odio rivolti sia alla madre che al padre, questo a 9 anni.

Ma Kurt non era solo, c’era Boddah con lui, il suo amico immaginario che ritroveremo più avanti, quando ormai è un adulto “solo” e disorientato. Ogni volta che accadeva qualcosa, che combinava qualche guaio, incolpava, ovviamente, Boddah.
Arrivò l’adolescenza, iniziò a lavorare ai suoi primi cortometraggi con una videocamera “casalinga”, sfruttando la sua fantasia. Sempre in questo periodo, il padre lo costrinse ad iscriversi ad un corso di wrestling, ma questo non gli era gradito e durante un torneo si rifiutò di lottare.

A scuola le cose non andavano meglio, fu protagonista di molestie pesanti soltanto perchè amico di un ragazzo omosessuale. Fortunatamente arrivò un regalo che lo incanalò definitivamente nel mondo della musica, una chitarra elettrica che, a detta sua, era buona più da mostrare che da suonare.

Ma di nuovo qualcosa cambiò, a 17 anni fu cacciato di casa e da quel momento iniziarono per lui anni di peregrinazioni tra divani di amici, scantinati e atri riscaldati, ma Kurt non dormì mai sotto nessun ponte, come ricordano anche le sorelle. Quello del dormire sotto i ponti è molto probabilmente un mito alimentato dall’artista stesso.

Nel dicembre del 1985, Kurt Cobain, iniziò a provare qualche suo pezzo con Dale Crover al basso e Greg Hokanson alla batteria. Scelse di chiamare la band Fecal Matter, registrarono un demo che poi fu incluso nel primo album dei Nirvana.

Arrivò il 1986 e Cobain fu arrestato per aver scritto su dei muri pubblici
“God is gay” e “Homosex rules” ma, invece di scontare un mese di galera, pagò una multa di quasi 200$ e venne rilasciato.

Il 1987 si formò l’ultima band che lo vide protagonista e che lo portò alle stelle: i Nirvana. Restarono attivi fino al ’94, anno in cui morì Kurt, dopo di che si sciolsero definitivamente.

Due anni dopo la formazione del gruppo, ’89, erano già attivi nei tour internazionali, un ricordo particolare di Cobain fu quando suonarono a Berlino il giorno dopo la caduta del muro: “C’erano occidentali che offrivano alla gente che si arrampicava sul muro cesti di frutta, e un uomo alla vista delle banane è scoppiato a piangere”.

Sempre in quello stesso anno i Nirvana arrivarono per la prima volta in live, a Milano, per tornarci due anni dopo, quindi nel 1991, con uno sbarbato Dave Grohl alla batteria, sull’onda dell’enorme successo di Nevermind.

Ma Kurt Cobain resta sempre l’anima tormentata anche se, nel 1992, arriva l’amore ed un matrimonio con Courtney Love che era incinta di tre mesi della piccola Frances Bean.

Ma arriviamo al 5 aprile 1994, quando Kurt, ormai oppresso dai suoi scheletri nell’armadio, decise di scrivere una lettera, un addio. Ricordate Boddah?! ecco la lettera che scrisse prima di spararsi:

“Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l’etica dell’indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio, quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e l’apprezzo, Dio mi sia testimone che l’apprezzo, ma non è abbastanza).

Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fan della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, Pesci, Gesù santo! Perché non ti diverti e basta? Non lo so. Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.

Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! Non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.

Frances e Courtney, io sarò al vostro altare.

Ti prego Courtney continua ad andare avanti, per Frances.

Perché la sua vita sarà molto più felice senza di me.

VI AMO. VI AMO.”