31 marzo 1930, il Codice Hays censura il cinema

Ormai è un codice superato, in molti non ne hanno memoria, probabilmente solo i cineasti più accaniti, parliamo del Codice Hays nel cinema. È il nome con cui era comunemente indicato il Production Code, delle linee-guida che per molti decenni hanno governato e limitato la produzione del cinema negli USA.

La Motion Picture Producers and Distributors of America (MPPDA, che sarebbe poi diventata la Motion Picture Association of America, o MPAA) adottò il codice  il 31 marzo 1930, la sua reale applicazione iniziò però nel 1934, questo sistema ha segnato per molti anni il cinema visto che fu abbandonato solo nel 1967 a favore del successivo MPAA film rating system.

Il “Production Code” specificava cosa fosse o non fosse considerato “moralmente accettabile” nella produzione di film.

Bisogna ricordare che fino al 1927 i lungometraggi erano “muti”, ma con l’avvento dei dialoghi si era sentita la necessità di un codice scritto per prevenire eventuali scandali. Fu questa la principale motivazione che indusse a stilare il codice.

Sia per quello che per i codici successivi venne utilizzato il termine “Codice Hays”, perché Hays ne era stato il promotore, il paradosso è che a questa persona viene associata la censura, quando invece il suo intento era unicamente quello di prevenire eventuali polemiche.

Il “Production Code” elencava tre “Principi generali”:
– Non sarà prodotto nessun film che abbassi gli standard morali degli spettatori. Per questo motivo la simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato.
– Saranno presentati solo standard di vita corretti, con le sole limitazioni necessarie al dramma e all’intrattenimento.
– La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo, né sarà mai sollecitata la simpatia dello spettatore per la sua violazione.

Ad integrare questi tre “dogmi” arrivarono poi altri comportamenti ritenuti inopportuni:
Il nudo e le danze lascive furono proibiti.
La ridicolizzazione della religione fu proibita; i ministri del culto non potevano essere rappresentati come personaggi comici o malvagi.
La rappresentazione dell’uso di droghe fu proibita, come pure il consumo di alcolici, “quando non richiesto dalla trama o per un’adeguata caratterizzazione”.
I metodi di esecuzioni di delitti non potevano essere presentati in modo esplicito.
Le allusioni alle “perversioni sessuali” (tra cui veniva inclusa l’omosessualità) e alle malattie veneree furono proibite, come lo fu anche la rappresentazione del parto.
La sezione sul linguaggio bandì varie parole e locuzioni offensive.
Le scene di omicidio dovevano essere girate in modo tale da scoraggiarne l’emulazione nella vita reale, e assassinii brutali non potevano essere mostrati in dettaglio. “La vendetta ai tempi moderni” non doveva apparire giustificata.
La santità del matrimonio e della famiglia doveva essere sostenuta. “I film non dovranno concludere che le forme più basse di rapporti sessuali sono cose accettate o comuni”. L’adulterio e il sesso illegale, per quanto si riconoscesse potessero essere necessari per la trama, non potevano essere espliciti o giustificati, e non dovevano essere presentati come un’opzione attraente.
Le rappresentazioni di relazioni fra persone di razze diverse erano proibite.
“Scene passionali” non dovevano essere introdotte se non necessarie per la trama. “Baci eccessivi e lussuriosi vanno evitati”, assieme ad altre trattazioni che “potrebbero stimolare gli elementi più bassi e grossolani”.
La bandiera degli Stati Uniti d’America doveva essere trattata rispettosamente, così come i popoli e la storia delle altre nazioni.
La volgarità, e cioè “soggetti bassi, disgustosi, spiacevoli, sebbene non necessariamente negativi” dovevano essere trattati entro i dettami del buon gusto. Temi come la pena capitale, la tortura, la crudeltà verso i minori e gli animali, la prostituzione e le operazioni chirurgiche dovevano essere trattati con uguale sensibilità.

Un vero e proprio vademecum del moralmente corretto che ha oppresso registi e produttori fin quando nel 1967non si optò per l’annullamento di questo codice. Lasciando, per nostra fortuna un ampio spazio di espressione agli addetti al mestiere.