È arrivato nelle sale italiane dopo aver vinto il Festival del Cinema di Berlino, quindi portando con se un’enorme cartolina da visita, aggiunta al fatto che questo lungometraggio abbia attinto a piene mani ad uno dei successi editoriali di Roberto Saviano, il libro, incensato da moltissimi recensori del settore ha l’omonimia nel titolo “La Paranza dei Bambini”.
Ma come si sa tutto questo contribuisce ad accrescere le aspettative che uno spettatore ripone su quello che va a vedere. In questo caso ci troviamo di fronte ad un prodotto nella media, colmo però di errori superficialità e anche di autocitazioni.
La trama è incentrata sulle vicende del protagonista, Nicola interpretato da Francesco Di Napoli che nel tentativo di prendersi Forcella, entra in possesso dell’arsenale del boss di Ponticelli: Don Vittorio, interpretato dall’attore Renato Carpentieri. Il Boss è detenuto ai domiciliari, decide quindi di “investire” nei baby – camorristi cedendo loro il proprio arsenale in cambio di futuri introiti ottenuti dalle loro operazioni. All’interno di questo dramma ci ritroviamo catapultati in una scena da commedia romantica all’italiana, dove il protagonista si innamora di Letizia interpretata da Viviana Aprea con il volo di un palloncino. Un amore da “Promessi Sposi”, osteggiati dalla provenienza e contro tutto e tutti. Non aggiungiamo altro sulla trama, per non rovinare la visione dell’opera a chi deciderà di andare a vederla. Passiamo quindi ai personaggi, risultano superficiali anche per colpa di dialoghi approssimativi, nella prima parte del film avrete l’impressione di finire in un loop temporale, dove l’appellativo ‘bell’ viene utilizzato praticamente per descrivere ogni oggetto a portata di mano.
Il dramma degli eventi non riesce ad essere trasmesso dalle parole dei protagonisti, che anzi sembrano più concentrati al godersi la vita che ai problemi che li circondano. L’apice del buco di trama più classico si ha quando la madre dopo svariati regali ricevuti dal figlio (tra cui l’esenzione dal pizzo) non si pone nessuna domanda ma soprattutto non cerca minimamente di adempiere al proprio ruolo genitoriale provando a discernere dai suoi intenti Nicola. Il tentativo chiaro del film è quello di rappresentare le diverse visioni del crimine che hanno due generazioni diverse, il vecchio e il nuovo. In questo in parte l’intento riesce. Chiudiamo con una cosa che è saltata subito all’occhio, un’auto citazione di Saviano ripresa anche dal lungometraggio che riprende una scena di Gomorra riproponendola per questo dramma. Lasciando tra l’altro volutamente il finale aperto in attesa di un probabile sequel.
In conclusione, un film che ha vinto il Festival del Cinema di Berlino probabilmente più per il messaggio socio-culturale che voleva lasciare, sintomo che anche i Festival europei iniziano a seguire i criteri dell’Accademy d’oltreoceano. Un film che galleggia a metà strada, senza infamia e senza lode.