Il cinema piange Ennio Fantastichini, artista impegnato e riflessivo

“Speravo che, invecchiando, aumentasse oltre all’età anche l’autostima. Non è così: quando si è giovani si ha diritto di sbagliare, alla mia età non è concesso sbagliare”

Ennio Fantastichini

 

Imponente ma delicato, diretto e viscerale allo stesso tempo. Ennio Fantastichini ha lasciato il mondo del cinema e del teatro italiano troppo presto, consapevoli che avrebbe regalato ancora tante e tante emozioni. A volte si aveva l’impressione che fosse burbero e inaffabile, ma tutt’altro. Era introspettivo, riflessivo e quando era all’opera bucava lo schermo o smuoveva gli animi degli spettatori con la sua fisicità e il suo volto squadrato ed espressivo.

Nasce nel 1955 Ennio a Gallese, in provincia di Viterbo, e la passione per la recitazione affiora già nei primi anni dell’adolescenza quando a soli 15 anni esordisce in un’opera di Beckett prima di iscriversi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica a Roma. Negli anni ’80 approda sul grande schermo e nel 1989 interpreta Tommaso Scalia nel film Porte Aperte di  Gianni Amelio, pellicola che gli varrà diversi premi tra cui il Nastro D’argento, l’European Film Awards, il Ciak D’oro e il Premio Felix.  Ma le soddisfazioni arrivano anche con le miniserie tv. Come dimenticare le sue interpretazioni in La Piovra 7, Sacco e Vanzetti e il ruolo di Giovanni Falcone in Paolo Borsellino di Tavarelli. Nel 1996 Paolo Virzì lo dirige nel film Ferie d’agosto insieme a Sabrina Ferilli, ma quasi un decennio dopo è stato Ferzan Ozpetek a volerlo nel suo Saturno Contro.

Era il 2010 quando il regista di origini turche lo ha voluto anche nel film Mine Vaganti grazie al quale l’attore si è aggiudicato il David di Donatello come migliore attore non protagonista.

«La mia mina vagante se n’è andata. L’ho amato lo amo lo amerò sempre.- scrive Ozpetek sui social – Il cinema ha perso un grande attore… Io ho perso tante cose un amico… un fratello».

Estremamente riservato nella vita privata – non amava parlare della sua sfera sentimentale o di suo figlio – l’attore viterbese ha rappresentato un modo di fare cinema e teatro diverso da quello cui si è abituati ora. Un cinema impegnato, riflessivo, fatto di esplorazione come lui stesso ha più volte sottolineato.

Fantastichini credeva che il cinema non dovesse essere un antidepressivo e che non bisognasse scendere a compromessi con il mercato per avere come unico obiettivo quello di incrementare gli incassi. Che fosse il grande schermo o un palcoscenico l’attore faceva resistenza tramite le parole. Basti pensare al ruolo in Mine Vaganti, quale padre misogino di un figlio gay, o a quello in Saturno Contro e la scena irriverente ma indimenticabile in cui rispondendo a Lunetta Savino dice di non essere gay, ma frocio perchè “all’antica”.

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C’è addirittura chi sostiene che non abbia mai avuto un ruolo principale nella sua carriera, ma sempre relegato ai confini.

Ma un ruolo centrale, con cui ci ha salutati, lo ha avuto nel “suo” Re Lear con cui nel 2017 ha girato l’Italia in una grande sfida professionale e umana, mettendo in scena l’emblema della vecchiaia e l’ingiustizia dell’uomo.