Un nuovo studio condotto da due professori europei ha evidenziato come le risorse necessarie per lo streaming musicale e la produzione di vinile stiano danneggiando l’ambiente molto più gravemente rispetto al passato.
Si potrebbe pensare che con l’aumento dello streaming e l’ormai scomparsa dei CD ci sia un impatto positivo sull’ambiente, ma la riduzione di “ prodotti fisici” e i minori rifiuti di plastica che si vengono a creare non stanno cambiando le cose.
Un nuovo studio di Kyle Divine, professore del Dipartimento di musicologia dell’Università di Oslo, e del dott. Matt Brennan, della Scuola di cultura e arti creative dell’Università di Glasgow, afferma che lo streaming di musica produce più emissioni di carbonio rispetto alla produzione di CD:
“Intuitivamente si potrebbe pensare che la scompara dei CD porti emissioni di carbonio molto più basse. Ma purtroppo non è così “, afferma Kevin Devine. “Tutta l’elettricità che serve per mantenere in vita questi servizi di musica streaming sta danneggiando l’ambiente.”
Mentre le vendite di CD sono diminuite del 18,5% lo scorso anno, il calo nell’uso di plastica non compensa i costi ambientali legati alla manutenzione dei server per servizi di streaming musicale come Spotify e Apple Music.
Il professor Devine ha convertito la produzione di plastica in emissioni di gas serra, e ha scoperto che nel 1977 i gas serra derivati dalla produzione di musica “fisica” ( cassette, vinili ecc) ammontavano a circa 140 milioni di kg. Entro il 2020, si stima che i gas serra aumentino spaventosamente , passando da 200 milioni a 350 milioni di kg.
Devin parla anche di come la rinascita del vinile possa essere eccitante per gli appassionati di musica, ma d’altra parte porti anche gravi conseguenze sull’impatto ambientale:
“I dischi in vinile sono prodotti derivati dal petrolio, e nonostante siano stati abbandonati per molti anni adesso sembrano essere tornati di moda. La produzione di questi vinili crea gravi danni all’ambiente, ma sembra che i “poteri forti” abbiano deciso di reintrodurli nel mercato. Io questo lo chiamo petrocapitalismo”.