La scelta degli Spurs riapre il dibattito: è giusto ritirare un numero di maglia?

I San Antonio Spurs hanno comunicato poche ore fa la decisione di ritirare la casacca numero 20 indossata per 16 onoratissime stagioni da Manu Ginobili, l’argentino diventato icona dei texani ed entrato nella legacy della franchigia grazie ai 4 anelli conquistati ma soprattutto per il suo modo unico di interpretare il gioco inventato da James Naismith. Nulla da dire sulla decisione di procedere ad un riconoscimento formale per leader tecnici ed emotivi come “El Contusion”, trattasi di atti non solo opportuni ma addirittura dovuti a mio sindacabilissimo parere. Quello che lascia perplessi (o che almeno lascia perplesso me…) è la modalità di questo tributo: un provvedimento che può essere una sorta di arma a doppio taglio, stante l’impossibilità di rivivere in campo le gesta legate a quel numero, attraverso i passi di chi sarà in grado si sopportarne il peso.

Il giorno nel quale la 20 di Manu verrà issata nel gotha dell’AT&T Center, dove andrà a ricomporre un dream team ideale con fenomeni del calibro di Tim Duncan e David Robinson, sarà il prossimo 28 marzo al termine della sfida di regular season con i Cavs. Ginobili è stato un rivoluzionario, un ragazzo di straordinaria semplicità capace di entrare nel cuore della tifoseria texana per via di momenti epici scolpiti nella storia degli “speroni” tramite giocate filosoficamente distanti dalla “Spurs culture” ma paradossalmente per questo capaci di creare un connubio difficilmente replicabile. La domanda da porsi è, però, la seguente: ritirare un numero è la scelta giusta? Mi permetto di dare una risposta lapidaria quanto personale: no. Non trovo una ragione che sia una per apprezzare la rinuncia sine die alla speranza di assistere alla “reincarnazione” di un nuovo Ginobili a San Antonio, di un nuovo Jordan a Chicago, di un nuovo Cruijff ad Amsterdam piuttosto che di un nuovo Favre in Wisconsin. Un atleta resta immortale per le gesta che ha compiuto, le emozioni che ha ispirato, le giocate che ha realizzato, i traguardi che ha solcato; tornare ad ammirare nuovamente il suo numero muoversi in campo potrebbe certamente essere un’enorme responsabilità per chi lo veste ma anche una fortissima motivazione ed un ponte tra passato, presente e futuro capace di arricchire di una sorta di misticismo l’intero evento. La prassi del ritiro del numero è, lo dico con rispetto, un’americanata della quale, tuttavia, stiamo risentendo in maniera sempre più evidente a causa della compenetrazione culturale dei nostri “mondi” con inevitabile dominanza del loro gene. Il concetto stesso di “hall of fame” pretende un sacrificio materiale sull’altare della gloria eterna che si concretizza nella sottrazione ai posteri della cifra numerica del “canonizzato”.

La conferma dell’ascendenza a stelle e strisce del cerimoniale in esame arriva direttamente dalla nuova governance della Formula 1, impersonata dal baffone di Chasey Carey, CEO di Liberty Media, holding che detiene il controllo del Circus, la quale ha avanzato l’ipotesi di ritirare i numeri di tutti i campioni del mondo che, di qui in avanti, appenderanno guanti e casco al chiodo. Al di là della ragione, estremamente pratica, che presto o tardi si arriverebbe di questo passo a numeri a 3-4 cifre su macchine e maglie, rimango genuinamente convinto che sia molto più deferente affidare gelosamente un numero leggendario a chi dimostrasse di valerne la caratura piuttosto che sottrarne la replicabilità vita natural durante. Il dibattito, tuttavia, resta inesorabilmente aperto.

 

Antonio Rico