Netflix riaccende i riflettori su Hulk Hogan. Ecco l’identikit di colui che ha rivoluzionato la storia del wrestling

Il wrestling non è sempre stato il fenomeno trasversale e di massa cui siamo abituati ad assistere oggi. Le luci, i mega schermi, le musiche d’entrata, i duelli a colpi di catchphrases, il merchandising: tutti sottoprodotti relativamente recenti del “business” che, ad un certo punto e per merito di due personaggi cruciali nella sua storia, ha smesso i panni di “americanata” per vestire quelli di fenomeno globale. Una rivoluzione avvenuta a cavallo tra anni’80 e ’90 per merito della visione di un innovatore, Vince McMahon e delle gesta di una figura rivoluzionaria dell’entertainment come Terence Gene Bollea, conosciuto da tutti (ma proprio tutti) come Hulk Hogan.

Il biopic che Netflix si appresta a realizzare sulla vita dell’Hulkster (questo uno dei tantissimi soprannomi del wrestler per l’occasione impersonato da Chris Hemsworth) conferma la portata di un personaggio capace di trascendere il quadrato per diventare un fenomeno di massa che ha trascinato nel futuro un intero movimento, rendendo il wrestling un prodotto televisivo, un elemento di discussione e non più soltanto una reunion di aficionados. La sua grandezza non è mai stata nelle doti tecniche mostrate sul ring, a dire il vero mediocri, ma in quello che riusciva ad esprimere al microfono, in ciò che aveva la capacità di trasmettere a migliaia di fan sugli spalti e, soprattutto, a milioni di potenziali clienti e fruitori del “business” attraverso il tubo catodico prima e i pannelli ad alta definizione poi. Hogan è stato la prima vera icona globale di questo microcosmo fatto di eccessi, emozioni, immagini indelebili ma anche storie di vita autentiche: un fenomeno di scala planetaria, il leader di un movimento passato agli annali dell’entertainment come “Hulkamania” che ha accomunato generazioni di fan da tutto il mondo scatenando un hype senza eguali nonostante l’assenza di infrastrutture digitali e social che potessero agevolare la viralizzazione della sua gimmick (in gergo, tutti gli annessi e connessi del personaggio interpretato sul ring, dal vestiario alle frasi celebri, dalle manovre ai concetti espressi al microfono). Come tutti i grandi, ci sono moltissimi comportamenti, frasi e dettagli del suo modo di essere che hanno fatto ingresso nell’immaginario di appassionati e non, a partire dal suo celebre “Whatca gonna do, Brother?”, scandito migliaia di volte al microfono, il suo ingresso sotto le note di “Real American”, la maglietta strappata prima dell’inizio di ogni match, quel rosso e quel giallo che diventavano una marea in ogni inquadratura, la bandana, il biondo platinato…insomma, chiunque abbia almeno 30 anni potrà facilmente capire quanto capillare sia stato il suo permeare l’esperienza televisiva collettiva di almeno tre generazioni. Il suo arrivo ha consentito alla allora WWF (oggi WWE) di posizionarsi a livello globale come il player per eccellenza dell’intrattenimento televisivo.

La sua vita, però, non è stata solo una dolcissima luna di miele. Un matrimonio naufragato a causa di una relazione extraconiugale, enormi ed irrisolti problemi fisici che lo hanno quasi costretto alla sedia a rotelle, la ferita mai rimarginata di vedere il figlio diciassettenne Nick dietro le sbarre dopo un’incidente stradale datato 2007 che causò una semi paralisi al suo passeggero per finire con le accuse di razzismo che gli costarono l’allontanamento dalla WWE nel 2015 (salvo poi esser stato reintegrato nel 2018). Insomma, una vita sull’ottovolante che però non scalfisce la sua portata mediatica. Hulkamania is still running wild, brother!