No, l’Italia non vuole maturare, neanche nello sport. Giovani e rivoluzione spaventano davvero.

Che sia bastata una sola partita – peraltro sottotono, eufemisticamente parlando – per “silurare” Gigi Di Biagio come c.t. della nazionale italiana di calcio era palese. Gli italiani, popolo di calciofili e amanti del “tutto e subito” non hanno lasciato scampo all’ex allenatore dell’Under 21 dopo il 2-0 rimediato venerdì contro l’Argentina in amichevole. Certamente non la migliore prestazione auspicabile da parte degli azzurri, ma all’ex centrocampista di Roma e Inter va dato il merito di aver proposto numerosi giovani in virtù di quello svecchiamento acclamato dopo la clamorosa debacle che ha portato all’esclusione dai prossimi mondiali. Cutrone, Cristante, Rugani, Chiesa e Pellegrini, a cui si aggiungono Zappacosta, Jorginho, Verratti e Insigne (finalmente titolare) danno il quadro di come la rivoluzione sia possibile. Senza contare che Belotti e Immobile sono la prima garanzia di un attacco di livello. Di Biagio si è affidato anche ad alcuni senatori per tramandare la mentalità vincente e quella di spogliatoio: ecco, quindi, che Buffon, Florenzi, Bonucci e Candreva, hanno avuto il compito di fare da “cicerone” ai nuovi.

E qui, però, occorre fermarsi e riflettere su questa fase di transizione. Non torneremo sui processi e sulle analisi dei mesi scorsi, ma è bene focalizzare un concetto, quello di “rivoluzione” che tanto si urla nei bar e negli stadi ma che, all’atto pratico, tanto spaventa. Dopo la figura tragicomica rimediata contro la Svezia, l’Italia ha toccato il punto più basso della sua storia. E su questo siamo tutti d’accordo. Così come era evidente che per alcuni giocatori fosse il momento di concludere la propria parentesi azzurra. Che la FIGC e Ventura abbiano avuto pensatissime responsabilità sull’accaduto è altrettanto vero e, quindi, pacifico. L’unione di questi fattori ha determinato il disastro che ben conosciamo. Ed ecco che allora entra in gioco la rivoluzione, quelli dei giovani, quella dei nuovi volti in Lega Calcio, quella dell’azzerare tutto e ripartire per costruire un ciclo in grado di dare i suoi frutti sul lungo periodo. Come la Germania o la Spagna, modelli sbandierati a esempio.

Alcuni giovani sono stati lancianti e, mentre la Lega Calcio sta tentando – non senza fatica – di ripulirsi, sembra giunta al capolinea, dopo appena novanta minuti, la nuova era della nazionale di calcio: quella del Di Biagio allenatore. Sonoramente bocciato dai tifosi italiani, Gigi sembra avere le ore contate. Ammesso che ai piani alti sappiano cosa fare. Ecco, quindi, che espressioni come “prospettiva”, “ricostruzione”, “pazienza” e “tranquillità”, vanno a farsi benedire, smentendo coi fatti ciò che era stato paventato a parole. Le stesse grazie alle quali si costruiscono mirabolanti castelli di carta sapientemente amalgamati con retorica e banalità di basso (e prevedibile) livello. Che l’ex centrocampista non fosse la figura autorevole ricercata per aprire il nuovo ciclo era assodato, ma in attesa che Mancini o Ancelotti la finiscano di farsi corteggiare, quasi fosse un piacere che stanno elargendo al nostro calcio e non un onore da poter vantare, c’è da chiedersi quanto dovremo ancora attendere perché l’agognata rivoluzione possa veramente partire. La risposta non ce l’abbiamo, ma neanche la Federazione, a dire il vero. Una verità, però, è stata rivendicata prepotentemente: in Italia la parola rivoluzione incute un timore micidiale. Non è un concetto chiaro nella nostra mentalità e, probabilmente, non è un termine presente nel nostro vocabolario. Tra 10 anni diremo le stesse cose, ne siamo certi.