Speciale Talk Talk: una delle carriere più schizofreniche della storia del rock

Chi ha vissuto gli anni ’80 e la loro musica sarà assolutamente d’accordo con la citazione tratta da “The History Of Rock Music. Talk Talk” di Piero Scaruffi.

Difficile infatti inquadrare la band britannica in un solo genere, ma quel che è certo è che con la loro ricerca stilistica hanno rivoluzionato totalmente il synth pop, arrivando ad anticipare di pochissimi anni quell’ondata post rock viva ancora oggi, seppur lontana dal mercato più mainstream.

La storia dei Talk Talk comincia nel 1981 a Londra. Conclusa l’esperienza punk dei fratelli Mark e David Hollis, insieme nel duo Reaction, questi riescono a farsi notare con una demo dalla Island Records, per poi approdare alla EMI per la quale incidono The Party’s Over. David Hollis lascerà la band molto presto, già prima dell’incontro con la Islad Records, ma a lui si deve l’incontro del fratello e frontman Mark con Paul Webb, al basso, e Lee Harris alla batteria.

In ultimo si aggiungerà il tastierista Simon Brenner, sostituito poco dopo l’uscita di The Party’s Over da Tim-Friese Greene, arrivando così alla line-up definitiva.

Se nell’82 arrivano ad aprire i concerti dei Duran Duran, già nell’84 i Talk Talk spopolano in USA ed Europa grazie al loro secondo album dal titolo It’s My Life contenente il singolo omonimo e Such A Shame.

Il successivo Colour of Spring, album uscito nell’84, decreta definitivamente il successo della band inglese. Sarà il loro disco più venduto, il primo punto di rottura nella loro folle ricerca musicale. Pop, sintetizzatori, rock, jazz, strumentisti di numero sempre crescente e un’attenzione particolare all’estetica, sia dei musicisti e dello show, che anche dei video e delle copertine degli album.

Nel 1987 comincia però quel declino che porterà Mark Hollis e i suoi allo scioglimento. In quell’anno esce Spirit of Eden, un album tra il pop e il jazz sperimentale ben accolto dalla critica ma che non convince abbastanza il pubblico.
La ferma opposizione di Hollis a qualsiasi tipo di promozione del disco e alcune modifiche apportate ai brani da parte della EMI senza il permesso della band, portano alla rottura del rapporto tra i Talk Talk e l’etichetta con una serie di cause legali.

Prima della rescissione del contratto riescono comunque a pubblicare nel ’90 la raccolta Natural History – The Very Best Of, il loro successo più grande nel Regno Unito, e un album di remix nel ’91, History Revisited – The Remixes, dall’accoglienza molto più fredda.

I Talk Talk, rimasti senza etichetta, trovano rifugio nella Polydor per la quale registrano Laughing Stock. Proprio in quel periodo il bassista Paul Webb abbandonerà la band costringendo Hollis, Harris e Friese-Greene a registrare con l’aiuto di alcuni strumentisti.

Il quinto e ultimo album dei Talk Talk segna il passaggio definitivo della band al post rock ma non riscuote, immeritatamente, troppo succeso.
Forse è stato un album troppo visionario e, come spesso accade in questi casi, ha ricevuto le giuste lodi troppi anni dopo.
Così, nel 1992, la band si scioglie e ognuno prende la propria strada.
Mentre Webb e Harris si ritrovano per dedicarsi sin da subito a un nuovo progetto post-rock, gli O.Rang, Friese-Greene lavora sotto lo pseudonimo di Heligoland alla produzione di musica sperimentale.

Hollis invece si ritirerà a vita privata, tornando a calcare nuovamente le chart solo per un momento nel 1998 con un album da solista intitolato proprio Hollis, che riscuote il successo della critica, per poi abbandonare nuovamente il mondo della musica fatta eccezione per collaborazioni saltuarie.

Mark Hollis scomparirà il 25 febbraio 2019 all’età di 64 anni.

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Nonostante gli ultimi insuccessi l’eredità artistica dei Talk Talk non è andata perduta. Assieme ad altre band come gli Slint e i Tortoise hanno dato forma a un genere, o meglio a un modo di fare musica, dai confini labili e dalle possibilità espressive infinite.
E’ strano e sorprendente pensare che artisti come i Godspeed You! Black Emperor, i Mogway, i Sigur Rós e addirittura i Radiohead, quando creano i loro paesaggi sonori e le loro fitte trame strumentali, stiano omaggiando lo sforzo creativo e l’instancabile ricerca di una semplice pop band londinese.