Sarah Stride, la mosca bianca della musica tricolore, dà alle stampe Prima Che Gli Assassini

Con uno stile cantautorale assolutamente unico, Sarah Stride ha dato un assaggio della sua peculiarità con l’EP “Schianto” (2017) e ora torna con un album, “Prima Che Gli Assassini”, che riprende i quattro brani dell’EP e affianca loro sei  inediti e un omaggio a Franco Battiato (“La Torre”). Realizzato in collaborazione con Kole Laca (Il Teatro degli Orrori, 2Pigeons) e Manuele Fusaroli (The Zen Circus, Nada, Andrea Mirò), il  disco mette in risalto le sonorità del tutto personali dell’artista:

c’è il rock e c’è l’elettronica più industrial, a fare da tappeto a una voce che riporta alla memoria i timbri tipici delle grandi interpreti degli anni ’60 – Mina, Ornella Vanoni, Nada – e che a tratti rimanda anche agli anni ’80 della Bertè. Una voce, quella di Sarah, che in alcuni momenti, d’un tratto, quasi nevroticamente, si comprime e si scurisce, per poi esplodere in sprazzi di suoni dal sapore internazionale.

Tante le influenze che hanno contaminato lo stile di Sarah: nelle sue composizioni – non nei suoni – si può percepire persino un accenno etnico. Conseguenza, questa, della sua volontà di non perdere mai di vista la realtà che la circonda, e da quando vive in una metropoli come Milano quella realtà è multicolore.

Tale attitudine si traduce in una musica ricca di sfumature che esprime i sentimenti più diversi e contrastanti: dalla dolcezza alla confusione, dalla rabbia alla speranza. Con “Prima Che Gli Assassini” Sarah Stride mette in scena una lotta interiore e una schiettezza che spiazzano piacevolmente l’ascoltatore, e così facendo si propone come un’artista che finalmente prende posizione nei confronti degli avvenimenti del mondo.

I testi, scritti a quattro mani con Simona Angioni, sono frutto di visioni intimistiche, ma condivisibili. Testi rari e incisivi, che toccano la mitologia rapportata alla pericolosa deriva dei nostri tempi, tenendo come protagonista assoluto l’umanità. Sarah Stride fotografa l’essere umano dei nostri tempi, con le sue contraddizioni e i suoi miti decaduti e in decadenza. Prova a trovare soluzioni, analizza, scende nel dettaglio.

Con la sua capacità di osservazione, con la complicità di Angioni, cerca di dialogare con i suoi simili, tutti noi, rendendo chiaro che nel futuro ci sono “giorni in cui va tutto bene” e altri in cui “sirene chiamano per arruolarti”. Ma anche che ciascuno, tra cadute e schianti, deve trovare la forza e la motivazione per pretendere “il suo posto ad alta voce” e trovare una via, un passaggio differente, personale, unico.

“I brani di questo disco sono tutto ciò che si è salvato, che è riuscito a rimanere integro e immediato prima che gli assassini che abitano la nostra mente arrivassero a rovinarli. Abbiamo raccontato solo quello che per noi era davvero necessario, nessuna frizione tra il mondo delle parole e quello del suono, come fossero due attori pronti al dialogo. Noi gli abbiamo solo offerto un palco nudo, senza scenografia, né cosmetica”.