Trionfo italiano per gli Swingles, maestri inglesi della musica a cappella

Ricordate la sigla di Superquark? Anche chi non li conosce deve aver sentito almeno una volta la loro splendida versione a cappella dell’Aria sulla Quarta Corda di Bach: sono gli Swingle Singers, aka gli Swingles, uno dei più celebri e longevi gruppi a cappella al mondo. Fondato nel 1963 a Parigi, il gruppo è attivo da più di 50 anni e, com’è facile intuire, ha rinnovato più volte il proprio organico. Il ricambio generazionale, tuttavia, non fa che apportare freschezza alla tradizione ormai consolidata della band. I sette giovani cantanti che oggi formano gli Swingles si sono fermati al Teatro dei Marsi di Avezzano con il tour di Folklore, il loro nuovo album. La nuova fatica discografica altro non è che una raccolta di canzoni tradizionali da tutte le parti del mondo, dalla melodia afghana Lovers’ Desire alla danza bulgara Bučimiš, arrangiate nell’inconfondibile stile degli Swingles: un mix di jazz, folk e world music, rigorosamente senza accompagnamento strumentale. È questa la magia degli Swingles: come si legge nei disclaimer che introducono i videoclip delle loro canzoni, “tutto ciò che udite è prodotto dalle nostre sette voci”. Così un concerto degli Swingles diventa un’intrigante esplorazione delle possibilità della voce umana, anzi, delle voci: tra i membri del gruppo c’è una sintonia quasi telepatica e un’energia che coinvolge immediatamente anche il pubblico.

Quello che fanno è terribilmente difficile e richiede una severissima disciplina vocale, ma gli Swingles sono talmente bravi da farlo sembrare facile. Sul palco sono tutto meno che compassati: si lanciano sguardi complici, dialogano con il pubblico (“Beautiful food, beautiful wine, beautiful mountains!” hanno detto di Avezzano), sorridono di piacere mentre cantano, si prendono addirittura in giro con leggerezza e autoironia. Il soprano Sara Brimer ha scherzato sugli stereotipi affibbiati ai cantanti lirici e ha interpretato (superbamente) Il dolce suono dalla Lucia di Lammermoor di Donizetti parodiando gli atteggiamenti di una grande diva: esasperava comicamente il pathos della performance, batteva languidamente le ciglia, fingeva di guardare l’orologio per valutare la durata dei suoi acuti. Edward Randell e Kevin Fox, le due voci maschili più basse del gruppo, si sono cimentati in un’improvvisazione jazz durante la quale hanno incoraggiato il pubblico a ripetere certi fraseggi di scat, strappando a tutti una risata.

Infatti, dalla lirica al jazz, per gli Swingles, il passo è breve: uno dei loro punti di forza è il loro repertorio, magnificamente diversificato. Oltre ai grandi classici dedicati appositamente al pubblico italiano, come la già menzionata Aria sulla Quarta Corda di Bach e il Libertango di Piazzolla, hanno alternato sapientemente brani originali e cover, concludendo il concerto con “a Beatles’ classic”, Blackbird. Al termine dello spettacolo, una splendida sorpresa: i membri degli Swingles si sono attardati nel foyer del teatro, per salutare gli spettatori e firmare le copie del loro cd. Un gesto affatto scontato, da parte di un gruppo così famoso. Possiamo dirlo con certezza: quello degli Swingles è talento puro, senza fronzoli né autotune.

Francesca Trinchini